TIFF18 I GIRLS OF THE SUN

Tre anni fa, dopo la proiezione di Bang Gang – A modern love story al TIFF15, rivolsi una sola preghiera alla regista: non farmi attendere troppo per il suo secondo lavoro.

Così mi trovo ad affrontare uno dei ritorni più attesi del Toronto Film Festival: Eva Husson, regista francese vincitrice di un MFA all’American Film Institute,  ed il suo Girls of the Sun, secondo lungometraggio dedicato alla sopravvivenza e solidarietà di un battaglione di donne soldato curde.

Le premesse per alzare il tiro, mantenendo lo stile ipnotico e personale che ci aveva fatto apprezzare e conoscere l’Husson, ci sarebbero tutte: una storia attuale e recente di donne ribelli, schiavizzate e stuprate da gruppi estremisti dell’ISIS che hanno invaso una città del Kurdistan.

A condurci attraverso la rappresentazione cruda e, a tratti, ‘hollywoodiana’, ci sono Mathilde (Emmanuelle Bercot), reporter di guerra francese che da poco convive con il dolore per la scomparsa del compagno – collega in Libia, e Bahar (Golshifteh Farahani), ex avvocato che ha perso il marito durante l’invasione della sua città.

Sarà proprio Bahar a guidare Le ragazze del sole, guerrigliere cui si ispira il titolo del film, alla riconquista della propria città ormai sotto il dominio dei terroristi.

Cos’è che non convince sin da subito? La retorica di guerra tipica di alcuni documentari che mostrano il grande punto debole del film: una scrittura approssimativa e apparentemente superficiale che lascia in potenza tutti i propositi di dare lustro ad un racconto così straordinario.

Da spettatori si resta confusi durante il roller coaster emotivo di questi 115 minuti: si passa dall’inadeguatezza di monologhi ridondanti – Mathilde nel suo reportage finale in voice over, per esempio – che poco rispecchiano la natura essenziale degli eventi, alla profondità del dolore racchiuso negli occhi e nei silenzi di queste donne in lotta per la vita.

Women, Life, Liberty sono le parole chiavi che,  ossessivamente, si ripetono durante tutta la proiezione e che offrono, in ogni caso, degli ottimi spunti di riflessioni su uno scenario che è, quasi sempre, oggetto preferito dal cinema maschile ed americano.

All’Husson, quindi, l’augurio di approfondire fino in fondo questo nuovo terreno narrativo, preservando la purezza del coraggio e della curiosità avuti finora.