ROMAFF14 – HONEY BOY | La Recensione

Honey Boy è una confessione catartica tra l’attore Shia Labeouf e la regista Alma Har’el . Non c’è da stupirsi vista l’intesa tra i due, nata sul set del video Fjögur píanó dei Sigur Rós (2012) e proseguita con la realizzazione di Bombay Beach dove Shia ricopre il ruolo di produttore esecutivo.

Honey Boy è il ritratto straziante di un’infanzia burrascosa e della difficoltà nel riconciliarsi con un padre violento (interpretato dallo stesso LaBeouf) in età adulta. 

Nonostante manchi di un esplicito riferimento autobiografico, il film rispecchia la vita del suo autore LaBeouf e lo fa mettendo in mostra la lotta che un attore professionista fa con se stesso per risolvere le sue pregresse esperienze di violenza e dolore. 

Dopo l’eccellente interpretazione in Borg vs. McEnroe, Shia ritorna con un ruolo coraggioso e necessario per il cinema contemporaneo. 

Honey Boy apre con Otis, attore professionista (Lucas Hedges   presente al TIFF 2019 anche con un altro film, Waves) che subisce un incidente d’auto mentre gira uno show acclamato. Durante la rehab dipesa dai suoi problemi con l’alcol, una consulente (Laura San Giacomo) diagnostica ad Otis un disturbo da stress post traumatico (PTSD).

Si torna così indietro nel tempo ad un Otis dodicenne (Noah Jupe,  la vera star del film), che vive in un motel squallido con suo padre James (LaBeouf), un veterano di guerra, ex clown rodeo, con problemi di alcol e droga. Invidioso dei successi lavoratovi del figlio nella recitazione, James sottopone Otis a continui insulti ed episodi di violenza intervallati da momenti di profonda dolcezza ed amore. 

Honey Boy è un film delicato che riesce a toccare tutte le più profonde corde dell’animo umano, mostrando un LaBeouf attore e scrittore in un totale ed inedito stato di grazia .

Menzione speciale: FKA Twigs nel ruolo di Little Q e Alex Somers (Sigur Rós) per la direzione musicale del film.