Toronto e il peso delle parole

 

Ho sempre detto Grazie. Da quando mi sono trasferita in Canada, però, ha un suono diverso. E non perché lo dico in un’altra lingua, anzi. Ho iniziato a ringraziare sempre più spesso le persone che contano davvero e che sono dall’altra parte dell’oceano. Quelle che, non so come, riescono a starmi vicino e a condividere con me questa nuova vita.

Da quando mi sono trasferita in Canada, ho capito che, per me, le parole sono tutto. Riformulo: ho capito che per me l’italiano è tutto. Detto così sembra stupido e forse anche un po’ melenso, ma è la verità.

Ho 28 anni e tutto quello che mi sono portata dietro è una valigia di esperienze e affetti. Penso, mi esprimo e scrivo nella mia lingua e certe volte anche in modo confuso, perché sono io stessa ad esserlo.

Immaginate di ricominciare da zero in un Paese 35 volte il Giappone, in un altro continente, con due lingue ufficiali e una città abitata da persone di tutto il mondo. Buttate nel cesso quei “dopo tre mesi parlerai in inglese” perché ha senso solo se vuoi sentirti illetterato e la massima ambizione è costruire risposte e domande-base. Ma cosa succede se volete iniziare a pensare, ad esprimervi sensatamente, a voler dare un consiglio quando ve lo chiedono mostrando pro e contro, senza mai risultare scortese?

Facile! Ho appeso in cameretta le due lauree – quasi tre – e il master insieme al calendario di Marilyn Monroe e mi sono fatta l’ennesimo bagno di umiltà. E non importa quando un italo-canadese finge di non capirmi, quando chiedo di ripetere, sbaglio un verbo o domando un significato. Studio, cerco, leggo, mi chiudo sui film, chiedo scusa se dico stupid perché qui è offensivo ed è meglio usare silly. E’ una sfida che sono sicura di poter vincere, un giorno.

Ora capite perché da quando mi sono trasferita in Canada, Grazie ha un suono diverso? Ho capito che le parole pesano, ma hanno un peso specifico. Quindi, tocca usarle con criterio.

E questo vale per tutte le lingue non solo qui, dove vivono persone educate e gentili come gli elefanti di una puntata di Babar.

BABAR

E allora la domanda. Perché in Italia non possiamo fare lo stesso? Perché dobbiamo essere i kings dell’offesa? Perché passiamo il tempo a denigrare, esprimere opinioni che nessuno ha chiesto e non trovare soluzioni? Perché va bene farci campare dai genitori pur di mostrare un lavoro socialmente apprezzato e passare il weekend allo sfascio perché non vogliamo pensare che stiamo fermi nello stesso punto da almeno due anni?

Poco tempo fa, ho iniziato a rileggere 1984 di George Orwell dopo la prima lettura fatta quando avevo 14 anni. Oggi, mi sono fermata su questo passo: “Le masse non si ribellano mai in maniera spontanea, e non si ribellano perché sono oppresse. In realtà, fino a quando non si consente loro di poter fare confronti, non acquisiscono neanche coscienza di essere oppresse.” Oppresse e depresse, perché così mi sentivo in Italia. E non penso di essere stata l’unica, perché non mi sento speciale. Come me ci sono milioni, ma che dico? miliardi di persone lì fuori che ogni giorno portano avanti una battaglia per sentirsi meglio, per cambiare qualcosa della loro vita. E se tutto va al meglio, di questo cambiamento ne gioveranno anche gli altri.

Allora perché non pesiamo anche noi le parole?

Vi faccio degli esempi.

  1. Che senso ha commentare una foto o replicare ad un messaggio con “Ma non è gay- lesbica ?”. Perché dobbiamo interessarci dell’orientamento sessuale di una persona? Ok, se l’intento è copulare con il soggetto, ha senso. Il sesso è importante, non ci prendiamo in giro. Diversamente, cosa vi interessa? In Canada vi direbbero: “It’s not my business” perché è vero. L’evoluzione si fa così, distruggendo schemi volgari e obsoleti.
  2. Perché fa notizia l’incidente domestico di Fedez? Perché gli diamo importanza. Ma, nel 2016, non possiamo ridurla a lettura da bagno? E poi, non vi dà fastidio quando uno come J-Ax commenta con “esiste ancora il fascismo e l’invidia sociale. Sucate” col suo milione di followers su twitter? Dov’è il dialogo? Cosa pensa di esprimere usando il termine ‘invidia’ e ‘sociale’ perché non ha alcun senso in italiano e questo atteggiamento da divo, in un Paese grande come il buco della porta, non ha molto senso.
  3. L’altra sera, un ragazzo italiano che lavora per una società canadese mi ha permesso l’ingresso allo Sher club, il locale di Drake. Per entrare bisogna avere l’abbonamento VIP all’Air Canada Centre da 20 mila dollari. Un’esperienza mistica in tutti i sensi. A parte la figura da niente quando ho stretto la mano a Drake dicendo solo “I’m from Rome” senza alcun motivo, c’è una cosa che mi ha colpito. LUI, FAMOSO IN TUTTO IL MONDO, girava per il locale e, sorridendo, chiedeva in giro “How is it going?”. Ok, il business. Ok, il suo locale. Ok, è canadese. OK.

Ma capite perché non accetto e non comprendo il divismo di alcuni nostri “artisti”? Perché non riusciamo a capire che un artista senza skills – leggi molti della scuderia TALENT – fa gli stessi danni di una classe politica ignorante e razzista?

Siamo tutti uguali: artisti, calzolai, medici, avvocati, politici, macellai, sarti. Finito il nostro lavoro – perché di questo si tratta – vogliamo tutti le stesse cose e abbiamo tutti una vita con diverso agio ma stessi problemi.

E perché, visto il momento storico in cui ci troviamo, non iniziamo ad aprire gli occhi e farci delle domande? Se proprio vogliamo cambiare qualcosa, iniziamo a pesare le parole. Poi a leggere, uscire, parlare (anche tenendo sempre l’Iphone nella mano destra, sono la prima a farlo) e se possiamo viaggiare. Vi assicuro che ripulirvi di tutti gli aggettivi di propaganda, o delle distorsioni imposte, vi farà sentire meglio. Cosa voglio dire?

Esempio. Conoscete il primo significato di GAY? GAY vuol dire FELICE. Questo significa che tutti, nella vita, dovremmo lottare per essere GAY. Se conosci i significati di una parola, puoi decidere come usarla. O potrebbe aiutarti a comprendere le differenze e le visioni del mondo così lontane dalla tua.

Qui la mia idea. Giochiamo in attacco e riappropriamoci delle parole. Criterio, ricerca e cura. Poi, dubitiamo tanto. Dubitiamo delle cose che vogliono farci credere, portando avanti le nostre personali battaglie.

Non siamo soli, perché senza rivali.

Non siamo speciali, perché tutti uguali.

Da Toronto è tutto, IM

Sigla The Flinstones (1960) ultimo verso: “We’ll have a gay old time”. Enjoy the music!