Isabella Mastrodicasa, un vero American dream | Intervista

Se puoi sognarlo, puoi farlo.  Se dovessi riassumere il suo insegnamento più grande, userei questa citazione di Walt Disney.

Questa non è un’intervista, voglio mettere le cose in chiaro sin dall’inizio. E’ una chiacchierata con una ragazza di Soriano nel Cimino (Viterbo) conosciuta ben dodici anni fa tra i banchi della Bocconi, quando l’esame di Metodi Quantitativi  sembrava il nostro peggior incubo da breve ex liceali classiche.

Di cose da dire ce ne sarebbero tantissime, ma vorrei che a parlare fosse lei perché NOI GIOVANI abbiamo bisogno di storie REALI come la sua, soprattutto in questo momento storico dove tutti sembrano propinarci dei vuoti modelli di cartapesta.

Un semplice e sincero GRAZIE!

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Nata l’8 Dicembre 1987 a Viterbo e cresciuta sui Monti Cimini. Hai vissuto a Milano, Roma e, dal 2014, Los Angeles. Cosa hanno rappresentato città così diverse? Qual è il posto che ti rappresenta di più e perché.

Penso che ogni città in cui ho vissuto mi abbia rappresentata per una certa fase della mia vita. Los Angeles è una città affascinante e molto difficile, tuttavia credo che la sua libertà espressiva e la sua creatività rappresentino la maturità e apertura mentale che ho raggiunto a 30 anni.       

A nove anni hai la fortuna di fare un viaggio coast to coast negli USA con la tua famiglia. Quella che era iniziata come un’esperienza triste lontana dai nonni e dai tuoi animali, si è presto tramutata in un’avventura magica. È qui che è iniziato il tuo sogno americano?

Assolutamente sì. Era la prima volta che uscivo dal mio paesino e dalla mia comfort-zone e mi sono ritrovata catapultata in una realtà talmente diversa, grande, affascinante, che non sono mai più stata la stessa. Ricordo quando papà mi portò agli Universal Studios nel ’97, e ricordo quella sensazione magica che volevo non finisse mai. Quello che c’è stato dopo nella mia vita è stato tutto dettato dal voler raggiungere nuovamente quella sensazione.

Dopo un diploma di maturità classica, ti trasferisci a Milano per gli studi universitari. Non solo ti laurei in Giurisprudenza presso la prestigiosa Università Bocconi di Milano, ma frequenti anche dei corsi di legge all’Università di Strasburgo ed Harvard. Cosa ti spinse verso la strada forense?

Ad essere onesta, il fatto di non poter seguire una carriera nel cinema. A 18 anni i miei genitori mi ‘obbligarono’ ad andare all’università, sperando potessi avere una vita più sicura e stabile. Per molti anni questo mi ha resa rabbiosa verso di loro, ma poi ho capito che in realtà è stata la miglior cosa che potessero fare per me. Io ho sempre imitato molto mia sorella maggiore, ed essendo lei avvocato penalista ed essendo io molto polemica e puntigliosa, giurisprudenza è stata la prima cosa che ha avuto senso per me nel ‘mondo degli adulti’. Mi ha dato molta solidità, forza, indipendenza, abilità di rialzarmi ad ogni sconfitta e di affrontare gli ostacoli, capacità di ragionamento, adattabilità, intuizione, tutte qualità senza le quali non sarei resistita un mese nel mio lavoro.

Capisci che l’avvocatura non è la tua strada, e decidi di seguire le tue passioni. Il percorso è lungo e tortuoso ma il sogno è sempre più nitido: vuoi dare voce ai talenti nascosti, emozionando gli spettatori del grande schermo attraverso quelle stesse storie che avevano commosso e segnato la tua sensibilità quando eri piccola.

Così è la volta di Roma e dell’esperienza presso la Roma Film Commission. Cosa ricordi di questo periodo romano?

Ricordo l’emozione di lavorare per la prima volta durante il Festival del Cinema di Roma, avere il mio primo accredito, conoscere le prime persone che hanno creduto in me e mi hanno dato un’opportunità, e anche le prime delusioni nel realizzare che non era tutto come lo immaginavo da piccola. Realizzazione che comunque mi ha aiutato tantissimo a capire in fretta che dovevo agire con intelligenza e ponderatezza, svegliando un po’ l’Alice nel Paese delle Meraviglie che c’era in me e tirando fuori quella che mia sorella chiama ‘cazzimma abruzzese’ ereditata da mio nonno.

L’Italia non ti basta. Il tuo sesto senso ti manda dei chiari segnali, riassumibili in due parole: WEST COAST. Lasci famiglia, fidanzato, e amici, e parti alla volta di Los Angeles con una valigia colorata e tanta voglia di metterti in gioco.

Così una nuova città e una nuova sfida: il programma in Business and Management of Entertainment alla UCLA. Quali sono state le difficoltà più grandi?

Sembra assurdo ma la lingua. Credevo di avere un’ottima conoscenza dell’inglese, eppure i modi di dire, i riferimenti culturali, gli accenti, le pronunce in un contesto lavorativo frenetico mi hanno completamente mandato nel pallone. Questo è stato accentuato dal fatto che ho iniziato il mio primo stage dopo un mese che mi ero trasferita, e in ogni società ero sempre l’unica non Americana quindi tutti mi parlavano in naturalezza come se fosse scontato capire al volo cosa intendessero, dove mi trovassi, cosa stessimo facendo, e per quale motivo. Inizialmente mi sono spaventata e demoralizzata, poi ho preso lezioni di accento con un acting coach, ho passato ore a studiare e ad assorbire come una spugna ogni nozione, contenuto, contesto e meccanismo, e sono andata come un treno.

C’è stato un momento in cui hai pensato di voler abbandonare tutto.

Circa 499 volte. Questo business e’ molto faticoso e non si stacca letteralmente mai. Ho il telefono con me 24hr al giorno, lavoro nei weekend, ho 10 giorni di ferie all’anno, vado sempre in ufficio con o senza febbre, e ci vuole tanto duro lavoro per vedere risultati che arrivano dopo moltissimo dopo. Ci sono meccanismi delicati, ed è necessario un costante investimento nel networking, cosa che dopo 12 ore di lavoro al giorno diventa davvero estenuante. Ma soprattutto pur essendo sempre circondato da gente sei spesso preso d’assalto dal un senso di solitudine e alienazione che devi essere in grado di gestire, col quale devi imparare a convivere, e dal quale devi riuscire a non farti intaccare. Poi ovviamente quando meno te lo aspetti arrivano anche grosse soddisfazioni che non avresti mai immaginato, e in quei momenti l’euforia ed il senso di realizzazione fanno passare tutto.

 La tua carriera americana inizia da Verve – Talent & Literary Agency come assistente per poi lavorare presso The Kennedy Marshall Company dopo un incontro fortuito col produttore Frank Marshall. Raccontaci la prima grande soddisfazione provata durante questo incarico.

Ovviamente una volta incontrato Frank, la soddisfazione piú grande è stata avere la sua fiducia. Per me lui era una vera e propria leggenda, e il solo fatto di avere una mia mail, un mio desk, un mio computer, un mio stipendio per fare qualcosa che per vent’anni avevo solo sognato erano già soddisfazioni enormi. Il tutto è arrivato all’apice quando abbiamo lavorato insieme a Spielberg per il documentario Finding Oscar sulla guerra civile in Guatemala, contesto in cui abbiamo fatto tantissimo lavoro di ricerca e di ricostruzione di una vicenda intricatissima e in cui siamo riusciti a ricongiungere l’unico bambino salvatosi dalla strage di Dos Erres avvenuta nel 1982 con il padre anziano che lo credeva ormai morto insieme alla moglie e al resto dei figli.

Heroes and Villains Entertainment. Sono due anni ormai che fai parte di questa ‘famiglia’. Sei entrata nella società come assistente dei soci fondatori e da poco sei stata promossa Film & TV Coordinator, occupandoti di produzione di film e tv e di management di talenti americani ed Europei, con focus su formats, sceneggiatori e registi Italiani. Com’è la tua giornata tipo?

Gran parte del lavoro consiste nel leggere le sceneggiature dei nostri clienti e sviluppare insieme a loro le idee che hanno per renderle non solo ottime, ma anche commerciali. E’ un po’ come guidare il bus che ha come passeggero lo sceneggiatore o regista, e portarlo alla sua destinazione nel modo più efficiente ed efficace. Gran parte è anche costituita da mail, telefonate, meetings in cui cerchiamo di capire che necessità il mercato ha e di mettere insieme i pezzi del puzzle, vendendo progetti e negoziando con studios e networks. E’ un po’ come tessere una tela o come giocare a Tetris. Dedico molto tempo anche alla ricerca di nuove voci, di diamanti grezzi con cui poter lavorare, per questo sono anche in giuria per una serie di festival internazionali. Infine investo molto tempo nella ricerca di libri o articoli su storie intriganti Italiane o Europee che abbiano uno spessore Internazionale e possano essere adattate a show televisivi o film da produrre.

 Hai mai pensato ad un piano B?

Si, ma ancora non l’ho trovato!

 Chi consideri una fonte indiscussa di ispirazione?

Steve Jobs. Il suo discorso alla Standford nel 2005 è stato ed e’ un’ispirazione continua. Quando piangevo nella mia camera di Milano la sera perché sentivo di vivere una vita che non mi apparteneva, acquistavo fiducia nel futuro tramite le sue parole. Quando superavo un esame o ottenevo un lavoro ed ero euforica, acquistavo forza e motivazione tramite le sue parole.

 C’è un incontro che ha inciso nella tua carriera o formazione? Ti va di parlarne?

Descriverne solo uno è riduttivo perché ci sono state così tante persone che hanno influito nella mia formazione e nelle mie scelte. Sicuramente però incontrare Frank Marshall mi ha fatto capire che non c’è limite a quello che posso raggiungere nella vita, e mi ha fatto credere molto di più in me stessa e nelle mie abilita’ e qualità, cosa che prima non facevo assolutamente mai. Ho acquistato una grossa consapevolezza di me, di dove mi trovo nella vita, e di dove voglio arrivare.

Ti conosco abbastanza per poter anticipare che sei una grande nostalgica degli anni d’oro di Hollywood. Cos’è che ti manca di più del passato?

Penso il romanticismo di quell’epoca, i personaggi naive, il raccontare storie molto semplici in modo diretto, lo scavarti dentro in modo tale che la ‘te’ prima di un film non sarà mai la ‘te’dopo il film, l’odore dei pop corn e le camminate sotto ai portici per andare al cinema invece che starsene a casa a guardare tutto su un televisore al plasma gigante. Sono una nostalgica, e una malinconica.

Qual è il tuo giudizio sul cinema italiano? In che direzione ci stiamo muovendo?

Penso che in una fase di grande crisi per il cinema in generale, noi ci stiamo riprendendo un pochino da anni di declino e stiamo tornando a promuovere in modo originale e autentico quello che è il nostro inesauribile talento, rivivendo quella che era la nostra fama negli anni d’oro. Quello che ancora ci manca purtroppo è il saperci vedere, il saper utilizzare a pieno le nostre risorse, il promuovere la nostra cultura in maniera commerciale ed arguta, il fatto di uscire dalle nostre piccole realtà e capire che ci sta tutto un mondo al quale adeguarsi e da conquistare.

Lavori nel Cinema, ma anche la Musica è una tua grande passione. Qual è l’artista che hai amato maggiormente e perché.

La risposta tu la sai bene! Cesare Cremonini, da sempre. E’ un romantico, un poeta, un visionario. Mi ha accompagnato in ogni fase della vita negli ultimi vent’anni, e pur avendolo incontrato tante volte da fan mi piacerebbe tanto abbracciarlo da donna adulta che lavora in un settore affine.

Quindi, cosa non può mancare nella playlist Spotify? 

A parte Cesare, ultimamente sono ossessionata da Post Malone, cosa sorprendente perché non c’è genere con cui mi sia identificata meno nella vita. Forse è l’influenza della California. Adoro anche la forte carica femminile che mi arriva ogni volta che ascolto Dua Lipa, altra artista che mi ispira molto in questi tempi e alla quale ho dedicato un tatuaggio.

Dietro il successo di un grande uomo c’è una grande donna. E dietro il successo di una grande donna?

Due p***e enormi!!!!

Tattoos e piercing. Cos’è rimasto della rebel rebel conosciuta in via Sarfatti? Quanti ne hai e cosa rappresentano.

La fase piercing è un po’ passata, ma ho una decina di tatuaggi molto piccoli e nascosti. Il primo lo feci a 18 anni, una scritta ‘dreamer’ dietro al collo e ricordo che faceva parte della promessa fatta a me stessa di non perdermi mai nel cinismo di chi diceva ‘smettila di sognare’. Gli altri sono tutti segni di alcuni periodi della mia vita, alcuni in comune con le persone più importanti per me, altri fatti quando ho raggiunto un determinato traguardo che mi ero prefissata. L’ultimo risale a due giorni fa, una piccola palma che sta ad indicare il life-style californiano e quello che questa nazione mi ha dato. Tengo molto anche alla sagoma dell’Italia dietro all’orecchio: come dicono qui ‘you can take a girl out of Italy, but you can’t take Italy out of a girl.’

Se Isabella fosse un film, quale sarebbe?

Vanilla Sky. Complicato, romantico, ingenuo, sognatore, passionale, sorprendente, coraggioso, malinconico.

Back to Italy. Come ci si sente a vivere tra due mondi? Pensi saresti riuscita a realizzarti qui? Ritorneresti mai a vivere in Italia?

A volte ci penso, perché col tempo l’euforia del vivere lontana da casa passa, e la mancanza delle tue abitudini, dei tuoi profumi, delle tue persone si fa sentire sempre più forte. Mi piacerebbe tornare e portare indietro quello che ho appreso, ma quando le cose saranno diverse e ci sarà una maggiore apertura verso le diversità e maggiori opportunità, quando il vecchio dara’ spazio al nuovo. Non penso assolutamente che sarei riuscita o riuscirei a realizzarmi professionalmente nel mio settore ad oggi purtroppo, ma ho la speranza di farlo in un futuro.

Domande dirette

una colazione con Cesare Cremonini

una serata da leoni con Isa Milk

 un viaggio Cuba

un lento con sempre con Cesare Cremonini, ma solo se cuore a cuore.

un concerto  di Ennio Morricone

un cinema con Mia cugina Lucia, sua mamma Gabriella, e sua moglie Marta

un cocktail con le mie migliori amiche Isa e Giulia

un ristorante Il Pastaio a Beverly Hills

un libro L’Alchimista

un quadro Notte Stellata

 un film Midnight in Paris

limonare solo limonare con Ryan Gosling

Sei giovane e hai già dato concretezza a tanti progetti, mostrando coraggio e spirito di sacrificio. Dove ti vedi tra dieci anni?

Con un premio Oscar sulla scrivania di casa mia.

Quando non è al pc, in trasferta o dietro la scrivania, cosa fa Isabella per essere felice?

Mi butto sempre in nuove avventure, soprattutto di notte, essendo quella che gli Americani chiamano ‘night owl’. A volte vado a dei concerti all’Hollywood Bowl, a volte mi ritrovo in jamming sessions sulle colline, altre volte semplicemente a chiacchierare in piscina con i vicini o a Malibu a guardare le stelle e ad immaginarmi il futuro. La maggior parte delle sere esco dal portone senza mai sapere dove le strade di LA mi porteranno, ed e`la cosa che rende più magica questa città.