Dopo l’Oscar per The Whale, Brendan Fraser torna con Rental Family, il nuovo film della regista giapponese Hikari, presentato al Toronto International Film Festival 2025. Si tratta di una commedia drammatica che unisce sensibilità occidentale e sguardo orientale, ambientata in una Tokyo piena di contrasti: frenetica ma anche profondamente solitaria.
Phillip (Fraser) è un attore americano che vive a Tokyo, alle prese con una carriera stagnante e una vita senza direzione. Per caso scopre un’agenzia che offre un servizio curioso: “affittare” attori per impersonare parenti, amici o conoscenti nelle vite dei clienti. Accettando di lavorare per questa impresa, Phillip si ritrova coinvolto in una serie di situazioni imprevedibili — da funerali finti a matrimoni simulati — che lo portano a riflettere sul valore dei legami umani e sulla sottile linea che separa la sincerità dalla rappresentazione.
Rental Family affronta temi come la solitudine, l’identità e il bisogno di connessione, mostrando come le emozioni possano essere “messe in scena” tanto nei film quanto nella vita reale. Tokyo non è solo sfondo, ma un vero e proprio personaggio: una città che accoglie e confonde, piena di luci, rumori e volti anonimi.
La regia di Hikari punta su un tono intimo, alternando momenti di leggerezza a passaggi più introspettivi. L’approccio visivo privilegia la calma e l’osservazione, con inquadrature che mettono al centro la quotidianità e il non detto.
Brendan Fraser interpreta Phillip con una delicatezza che richiama i suoi ruoli più recenti: un uomo ferito, alla ricerca di autenticità.
Accanto a lui, Mari Yamamoto offre una presenza solida e silenziosa nei panni di una collega “a noleggio” con più esperienza, mentre Takehiro Hira e Akira Emoto completano un cast che unisce interpreti americani e giapponesi in modo equilibrato.
Rental Family è un film che utilizza una premessa insolita per esplorare il significato dei rapporti umani nell’epoca della solitudine urbana e dei legami temporanei. Non cerca lo scandalo né la morale, ma invita a chiedersi quanto delle nostre relazioni — e delle nostre emozioni — sia davvero autentico.