Ci sono registi che, anche quando non possono girare film, trovano sempre un modo per farlo.
Jafar Panahi è uno di questi. Dopo anni di arresti domiciliari, carcere, divieti e censura, il maestro iraniano torna con It Was Just an Accident, Palma d’Oro a Cannes 2025, un film che comincia come un banale incidente stradale e si trasforma in una riflessione tagliente su colpa, giustizia e futuro.
Tutto parte da una scena semplice: un uomo investe un cane e si ferma in un’officina per riparare l’auto. Ma nel volto apparentemente anonimo del cliente, il meccanico Vahid riconosce — o crede di riconoscere — il suo vecchio torturatore. Da qui, la tensione cresce inesorabile. Panahi ci trascina in un deserto fisico e morale, dove la vendetta si mescola al dubbio. Vahid rapisce l’uomo, convoca ex prigionieri per confermare la sua identità, ma nessuno può dire con certezza chi fosse l’aguzzino: durante le torture, tutti erano bendati. La memoria diventa un campo minato.
Il film alterna momenti di pura suspense a scene di ironia grottesca — come quando delle guardie accettano tangenti passando una carta contactless. È la burocrazia del male, il potere che si ridicolizza da solo.
Panahi non cerca la certezza, ma la complessità. La sua macchina da presa si muove con discrezione, osserva, interroga, lascia spazio all’ambiguità. Alla fine, la domanda non è più “chi ha fatto cosa?”, ma “che cosa diventa un uomo quando il dolore non trova giustizia?” o meglio quale sarà il futuro per tutti, dopo questo dolore.
Girato in segreto, con mezzi limitati ma un controllo formale impressionante, It Was Just an Accident è più di un film: è un atto di resistenza.
Panahi ci ricorda che il cinema può ancora essere un’arma — non di violenza, ma di lucidità.
It was just an accident – un semplice incidente arriverà nelle sale il 6 novembre.

